Molto spesso, nell'ambiente musicale jazzistico italiano ma non solo, molti musicisti in vista, o che vorrebbero esserlo, si pongono con estrema arroganza, come se la loro spocchia sia figlia diretta del loro sapere/capacità.
Da sempre e' invece cosa risaputa che le persone che hanno veramente qualcosa da dire non si pongono mai in maniera altezzosa e soprattutto, non mettono davanti un opera musicale fiumi di parole altolocate per celarne il valore.
Secondo voi, (per chi ha avuto esperienze didattiche di vario tipo capirà bene di cosa si parla), e' poi vero che il maestro di turno deve porsi come il guru onnisciente? Oppure molto spesso, e soprattutto negli ultimi decenni, (dove reperire informazioni riguardo la cultura musicale afroamericana era molto più difficile di oggi che c'è internet quasi ovunque), forse questi non si sono approfittati di quest'alone di maestri inarrivabili, solo per farsi pagare profumatamente e per lungo tempo?
Da un punto di vista più infantile, tanti aspetti dell'apprendimento spesso vengono fraintesi in varie maniere, (ad esempio mettendo davanti il proprio ego piuttosto che le nozioni acquisite), e quindi si tende a porsi come "il nuovo eletto" che quasi non ha bisogno di imparare, tant'è che le sue doti innate sono più importanti di tutto il resto.
Quindi ne osserviamo un quadretto pieno di miti: dal maestro guru all'allievo con i superpoteri. Forse, anche in questo caso la soluzione sta nell'onesta' di mezzo: partendo da una didattica sobria e poco romanzata di un insegnante, che possiamo individuare con due parole, e cioè "onestà intellettuale", fino ad arrivare alla fiducia e alla maturazione dell'allievo, che a 18 anni sarebbe caso raro, e buon per lui e per la musica se fosse in grado di fare i miracoli, che deve comunque considerare il suo percorso educativo legato anche e soprattutto alla sua crescita intellettuale e fisica.
Magari, andando avanti seguendo questi criteri si può pensare di costruire un futuro di musicisti veri e consapevoli.
Keep on swinging!
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